RAID ROMA TOKYO 100 ANNI FA IL VOLO RECORD DELL’AVIAZIONE ITALIANA

RAID ROMA TOKYO, 100 ANNI FA IL VOLO RECORD DELL’AVIAZIONE ITALIANA

 

Il Raid Roma Tokyo è ancora oggi tra le più straordinarie imprese storiche dell’Aviazione. A Centocelle, luogo di partenza del volo record, la mostra per il Centenario

100 anni fa, nel 1920, i piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero, insieme ai motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto, a bordo di due biplani SVA di legno e tela, si rendevano artefici del primo collegamento aereo tra Europa ed Estremo Oriente. E proprio all’Aeroporto “Francesco Baracca” di Centocelle, luogo di partenza degli equipaggi che affrontarono il lungo viaggio, venerdì 14 febbraio 2020, si è celebrato il Centenario del Raid Roma Tokyo, impresa considerata ancora oggi tra le più straordinarie della storia dell’Aviazione.

Nel corso delle celebrazioni, alla presenza del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Generale di Squadra Aerea Alberto Rosso, del Presidente della Fondazione Italia/Giappone, Ambasciatore Umberto Vattani, e dell’Ambasciatore del Giappone in Italia Hiroshi Oe, è stata deposta una corona d’alloro al monumento commemorativo già esistente e restaurato per l’occasione, ed è stato possibile visitare una mostra dedicata al Raid.

“Un’impresa che nasce non come impresa di singoli ma come volontà di muovere in maniera strutturata e organica una formazione di aeroplani. Per questo è importante ricordare tutti: partendo da chi non ce l’ha fatta, fino ad arrivare a Ferrarin, Masiero ed i loro valorosi motoristi. Una dimostrazione del fatto che il pilota non è mai da solo e che è sempre il lavoro di squadra che porta il risultato.” Queste le parole del Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare dopo aver ringraziato i famigliari degli equipaggi giunti a Roma per l’evento.

“Cerimonie come queste – ha continuato il Generale Rosso – non vogliono solo ricordare un avvenimento passato e personaggi interessanti che oggi non ci sono più. La storia ci deve aiutare a comprendere quello che è stato fatto in altri tempi ma che può essere d’esempio oggi. Ci deve aiutare, stimolare, guardare umilmente il modo in cui tanti anni fa sono stati risolti problemi difficili, con determinazione, fantasia, grinta e spirito di avventuraComprendere questo oggi ci aiuta a guardare verso il futuro. Oggi guardiamo verso lo Spazio, che è la nostra nuova frontiera, utilizziamo nuove tecnologie, ma le sfide, concettualmente, son sempre le stesse, così come lo spirito di avventura, la capacità organizzativa, la grinta, la determinazione, l’attaccamento ai valori”.

LA STORIA

106 giorni, 18.000 chilometri percorsi, 112 ore di volo alla velocità media di 160 km/h: sono questi i numeri del volo record che valse un’accoglienza da eroi e 42 giorni di festeggiamenti ufficiali a Tokyo.

La paternità dell’idea di un volo dall’Italia al Giappone si deve al poeta aviatore Gabriele D’Annunzio il quale, nel 1919, la condivise con Haru-Kichi-Shimoi, scrittore nipponico e sin­cero ammiratore dell’Italia che all’epoca insegnava all’Istituto di Lettere Orientali di Napoli. Il progetto, seppure con qualche variazione al programma iniziale del vate, venne accettato dalla Direzione Generale d’Aer­onautica. Non potendo D’Annunzio partire perché asserragliato a Fiume, fu stabilito che l’impresa fosse compiuta da due formazioni, la prima di cinque caccia ricognitori SVA 9, la seconda di quattro bombardieri Caproni di diversi modelli, due Ca.450, un Ca.600 e un Ca.900 triplano. Le partenze dei Caproni da Centocelle, scaglionate tra loro, iniziarono l’8 gennaio 1920 ma nessuno di questi bombardieri andò oltre la Siria. Le cose non andarono meglio ai cinque SVA che partirono l’11 marzo.

A questo punto l’unica possibilità di portare a termine l’impresa era rappresentata dai due SVA 9 che furono fatti decollare il 14 febbraio per fare da staffetta alla formazione di biplani che di lì a poco li avrebbe seguiti. Gli aeroplani staffetta avrebbero dovuto verificare le località d’atterraggio, predisporre i rifornimen­ti e prendere contatti con le autorità locali. È in questo contesto che entrò in scena Arturo Ferrarin, pilota vicentino che durante il conflitto aveva militato nella 82a e nella 91a Squadriglia Caccia, la gloriosa Squadriglia degli Assi.

Ferrarin, chiese di poter decollare per il Giappone accompagnato da un altro aeroplano. Il 14 febbraio alle 11.00, ebbe inizio l’avventura, con i due SVA che si levarono in volo dal campo di Cen­tocelle. Gli equipaggi erano formati dai piloti Arturo Ferrarin e Guido Masiero con i rispettivi motoristi Gino Cappannini e Roberto Maretto.

Lo SVA era un aeroplano di legna e tela, l’abitaco­lo era aperto e l’equipaggio era esposto al vento e alle intemperie, il radiatore non era adeguato per le alte temperature tropicali mentre il carrello era privo di carenature alle ruote, utili in caso di atterraggio su terreni difficili. A bordo non c’era la radio, la velocità si manteneva sensorialmente ed il pilota conduceva la navigazione unicamente con l’ausilio di orologio e bussola.

Il 31 maggio i due SVA giunsero a Tokio; prima Masiero e cir­ca un’ora dopo Ferrarin. Ad attenderli c’erano duecento mila persone accorse per vedere i primi aeroplani arrivati in volo dall’Europa. Per celebrare l’impresa furono decretati 42 giorni di festeggiamenti in Giappone, culminati con il ricevimento ufficiale degli aviatori italiani a Palazzo Imperiale. A ricordo di questo volo da record lo SVA di Ferrarin fu collocato nel Museo Imperiale delle Armi a Osaka.

 

Fonte, testo e immagini: Ufficio Pubblica Informazione – S.Ten. Palma Convertini